“Chino gli occhi sul mio libro
Leggo e penso, leggo e vedo
Leggo e sogno, leggo e viaggio
Alzo gli occhi sul paesaggio
Leggo il cielo, leggo il mondo
Faccio un bel respiro fondo
Chino gli occhi, leggo ancora
Sto leggendo già da un’ora
Leggo su, leggo giù
Chiudo il libro e non leggo più
Vado giù nel cortiletto
Per giocare a ciò che ho letto…”
(Bruno Tognolini, “Filastrocca del Buon Leggere”,
da “Filastrocche della Melevisione” - Amazon/laFeltrinelli/IBS/inMondadori)
Dedichiamo questa pagina alla figura di Roberto Denti, fondatore della prima libreria italiana per ragazzi, scomparso un anno fa (21 maggio 2013), che amava ricordare: «La lettura è come l’albero, non fiorisce a comando…» e a Tutti coloro che si dedicano con grande passione alla letteratura per ragazzi, fondamentale, per il futuro di tutti noi!
L’Italia in “lettura”… il “bollettino” degli eventi letterari
Estate in “lettura”… il “bollettino” degli eventi letterari italiani [...]


Approfondimenti & Speciali...
Simboli, corrispondenze, colpi di dadi: la parola-formula magica nella poesia di Mallarmé (di extra-letture...)
Charles Dickens, 200 anni dopo: “storia di uno scrittore in bianco e (fumosamente) nero”
(di Ada Rocha)
«Buon Natale,
Zio! un allegro Natale! Dio vi benedica!» - gridò
una voce gioconda. Era la voce del nipote di Scrooge, piombato nel banco così d’improvviso
che lo zio non lo aveva sentito venire.
«Eh via!» - rispose Scrooge - «sciocchezze!»
S’era così ben scaldato, a
furia di correre nella nebbia e nel gelo, cotesto nipote di Scrooge, che pareva
come affocato: aveva la faccia rubiconda e simpatica; gli lucevano gli occhi e
fumava ancora il fiato.
«Come, Zio, Natale una
sciocchezza!» - esclamò il nipote di Scrooge. « Voi non lo pensate di
certo»
«Altro se lo penso!» - ribatté
Scrooge. « Un Natale allegro! O che motivo hai tu di stare allegro? Che
diritto? Sei povero abbastanza, mi pare»
E'
proprio lui, l’indimenticabile signor Scrooge! Anche solo leggendo queste poche battute
estrapolate dalla prima strofa, tutti possiamo riconoscere l’inconfondibile “Canto
di Natale”.
Pubblicato nel 1943, valse a Dickens un calore commovente
da parte del pubblico più umile:
numerosissime, secondo le parole del suo amico e biografo John Forster, furono
le lettere da parte di ammiratori
semplici e non di certo letterati, a testimoniare ancora una volta quanto
l’autore parlasse a nome di chi non aveva voce.
Del resto, Charles Dickens, di cui si è commemorato
quest'anno il bicentenario della nascita, l'asprezza della vita nell'Inghilterra
del XIX secolo l'aveva provata in prima persona.
E la sua personale esperienza si sarebbe poi riflessa in tutti i successivi
lavori, in cui tornerà ad attingere
copiosamente dai suoi ricordi più dolorosi, dal periodo infelice che tanto lo
avvicinava alle sofferenze della classe
lavoratrice in piena rivoluzione industriale, come “David Copperfield”
e “Oliver Twist”.
Come ebbe a dire
Vincent Van Gogh: “There is no writer, in my opinion, who is so much
a painter and a black-and-white artist as Dickens. His figures are
resurrections.”/“Non c’è autore, a
mio avviso, che sia tanto pittore e artista in bianco e nero quanto Dickens. I
suoi personaggi fanno rinascere.”. [...]
Shoah: “Atti di necessaria conoscenza sulla mancanza e sulla memoria”
(di extra-letture...)
“Al mondo ci sono persone buone, persone cattive e persone che sono state ad Auschwitz”
La Shoah è qualcosa che compare nelle nostre vite un giorno all'anno.
O almeno per molti di noi, la Shoah è inevitabilmente collegata alle sue commemorazioni.
Ma quello che più ci preme è cercare di tessere, senza alcuna pretesa, una trama che leghi i termini memoria e mancanza alla Shoah.
Se è vero che milioni sono le pagine scritte su ciò che è avvenuto è altrettanto vero che milioni sono le pagine che non si sono potute scrivere su quello che è avvenuto.
Un paradosso forse, ma pura verità.
Come ogni materia di discussione, anche la Shoah ha un suo linguaggio.
Il linguaggio è la cifra, la relazione, il filtro.
Lo strumento con cui l’individuo entra nel mondo.
Qui non parleremo del linguaggio culturale, ovvero di quello che codifica e decodifica un popolo, la sua storia, la sua identità e il cammino, bensì ci concentreremo sul linguaggio individuale. [...]
“Non si esce dalla rappresentazione” – L’Enrico IV e la finzione a ciclo continuo nell’opera di Pirandello
(di Francesca M)
«Come a voi appajono travestiti loro, così a lui, nei nostri panni, appariremmo travestiti noi»
Il mondo che Luigi Pirandello ci ha restituito, con quasi tutta la sua opera, è un mondo
“fuori di chiave”, con gli accordi saltati, le armonie che non
reggono, i suoni che non stanno insieme pacificamente.
E' il mondo del Novecento, simile a una chitarra scordata, a un pianoforte con i bianchi e i neri invertiti.
In particolare, con il suo teatro Pirandello mostra come la finzione non sia prerogativa del
palcoscenico e non appartenga solo agli attori che recitano consapevolmente, per mestiere.
Finzione, al contrario, è l’intera dimensione sociale del vivere dell’uomo, calato da convenzioni che lo precedono in una rappresentazione senza fine, in uno spettacolo a ciclo continuo che lo costringe a vestire un ruolo e a comportarsi di conseguenza, a darsi un nome, un’identità cartacea e burocratica, un io legale e anagrafico che permetta agli altri e a se stesso di riconoscersi.
[...]
I reportage... (visualizza tutti)
“Il sogno è una luce verde…” Letture da “Il grande Gatsby” – reportage (di extra-letture...)
Sembra di vederlo, Gatsby. Proteso verso questa nebbia iridescente, fra party pieni di gente e un bicchiere sempre da portare alle labbra, con la sua utopia a due passi da lui, così vicina e così inafferrabile.
Teatro Studio, Auditorium Parco della Musica di Roma. Valerio Magrelli, Benedetta Bini e Stefania Sandrelli davanti a una platea nutrita e pagante (l'una e l'altra cosa inusuali quando c'è di mezzo un libro) per entrare nelle pieghe de
“Il grande Gatsby” e nella vita luccicante e torbida del suo autore, Francis Scott
Fitzgerald. [...]
analfabetismi “culturali”… (di Francesca)
“Può essere una condizione dell’anima quando si rinuncia alla propria coscienza e al proprio intelletto in nome dell’omologazione e della passività. Sì, anche l’analfabetismo può essere una condizione dell’anima. E lo è sempre di più quando donne e uomini giovani e pieni di energie, soprattutto intellettuali, delegano a falsi simboli e icone la loro educazione (...)”