“La filosofia di Topolino” di Giulio Giorello
Giulio Giorello e
“La filosofia di Topolino”
“Spero solo che non ci dimenticheremo mai una cosa – tutto è cominciato con un topo” (Walt Disney)
Creato nel 1928 dai padri della fantasia Walt Disney e Ub Iwerks, Topolino (o Mickey Mouse, nella versione originale) è ancor oggi uno dei personaggi d’animazione più amati, e non solo tra i più piccoli. Il piccolo topo antropomorfo, dotato di braghette rosse, scarpe gialle e grandi guantoni bianchi, ha accompagnato infatti decine di generazioni e continua ad essere un’icona anche per gli adulti.
Cult del fumetto, simbolo di un’azienda, modello di intelligenza e simpatia; questo il ritratto stilizzato del roditore più apprezzato di tutti i tempi.

Inoltre, le lotte che si susseguono storia dopo storia non si concludono necessariamente con il successo del protagonista: Topolino sa anche perdere, accetta le sconfitte e ne fa tesoro, usando la proverbiale astuzia e un tocco di “savoir vivre”.
Il Topo per eccellenza non è mai invincibile, anzi, è sempre più dubbioso, si interroga, è alla continua ricerca di quei meccanismi che controllano l’universo di “uomini e topi” popolato sì di cani, gatti e mucche che parlano, ma tanto vicino al nostro che è impossibile non cadere nel meccanismo inconscio dell’autoidentificazione e del rispecchiamento.
Uno dei principali motivi di fascinazione risiede proprio in questa continua ricerca dell’avventura, di riposte, di esperienze: per dirla alla tedesca, lingua tra le più filosofiche al mondo, Topolino è l’immagine del “der Suchende”, ossia di colui che non considera nessun risultato come definitivo ed è sempre in tensione verso nuovi stimoli e soluzioni.
Il protagonista di tante storie a fumetto non ha perciò nulla da invidiare a filosofi come Russell o Heidegger; anche le sue vicende, seppure romanzate e fantasiose, si confrontano con un Novecento funestato dai totalitarismi, con una scienza alle prese con controversie etiche, con una giustizia non sempre equa e rappresentativa della verità, con la difficoltà di interazione tra culture diverse.
Topolino è dunque un pragmatico empirista, ma privo di certezze perentorie, e segue un suo personalissimo “dubito ergo sum”, per dirla modificando la celebre massima cartesiana.
Lo stesso genere a cui appartiene, il fumetto, merita poi una riqualificazione, essendo un prodotto capace di offrire una lettura stratigrafica, più o meno profonda a seconda delle coordinate culturali che si è in grado di applicare.
Gli intrecci del famosissimo topo dimostrano perciò come la filosofia non sia materia di puro accademismo; anche un detective dalle braghette rosse può infatti rendersi portavoce di istanze e correnti di pensiero che partono dal solco tracciato dai più grandi pensatori occidentali.
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